Noi del Quinto Piano

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Loro hanno coraggio. Sono giovani forze della natura che hanno imparato a combattere con un nemico spietato come il cancro. E nel dolore hanno appreso l’altruismo.
Dopo la vittoria, con alcuni volontari, hanno dedicato le loro energie a sostegno dei piccoli ammalati dell’oncoematologia dell’Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino.
In queste pagine troverai i loro racconti. Ogni copia che comprerai di questo libro sarà un dono dedicato al reparto, ai suoi pazienti, perché i quindici magici scrittori e la loro associazione Con Volontà Puoi, destineranno il ricavato della vendita a soddisfare le necessità degli ospiti fanciulli.

Descrizione

Prefazione di Franca Fagioli
Direttore Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti Oirm
Ospedale Infantile Regina Margherita – Torino

Grazie alla ricerca biologica e clinica e all’uso di protocolli cooperativi nazionali e internazionali sempre più efficaci, la probabilità di guarigione in oncoematologia pediatrica, che negli anni Settanta era inferiore al quaranta per cento, supera attualmente l’ottanta per cento.
Il numero dei guariti è in continuo aumento. Nel 2000 le stime dicevano che un giovane adulto su novecento di età compresa tra i sedici e i trentaquattro anni era un sopravvissuto al tumore. Oggi si parla di un guarito ogni quattrocentocinquanta giovani adulti.
La scrittura di questo libro da parte dei giovani guariti è la più importante conferma di questo nuovo panorama, contribuendo a testimoniare, più dei numeri, delle statistiche e dei progressi scientifici, che la guarigione dai tumori pediatrici non è più solo una speranza, ma una sfida che può essere vinta.
Ripensando ai pazienti e alle famiglie che ho incontrato in questi anni, mi ritornano alla mente le parole di un padre che mi chiese: «Dove sono i guariti?» riferendosi al fatto, che all’interno del reparto di degenza, ritornano e si incontrano sempre e solo coloro che necessitano di trattamenti medici.
Questa domanda porta a riflettere sull’importanza che assume per i malati e per i loro familiari il “toccare con mano” questa speranza di guarigione che si traduce in un bisogno di entrare in contatto con chi, come loro, ha affrontato l’esperienza della malattia.
Dare voce ai giovani guariti, non solo amplifica e sostiene la speranza, ma può costituire un valido esempio per tutti coloro che stanno lottando contro la malattia.
Leggendo le testimonianze che seguono, il lettore capirà che il valore che i CVP esaltano è quello dell’amicizia e delle relazioni umane. Si tratta di relazioni che hanno costruito con l’équipe sanitaria del Centro definito in passato, da alcuni genitori, come “Incubatore-di-Vita” perché ciò che li aveva colpiti era stata la particolare attenzione dedicata dai professionisti a ogni singolo piccolo paziente.
Si tratta però anche di relazioni amicali con quelli che come loro hanno condiviso l’esperienza della malattia.
Spesso noi medici non ci soffermiamo a pensare all’importanza che rivestono queste relazioni per i nostri pazienti, al significato e al valore che esse assumono, anzi, molto spesso la troppa condivisione ci “spaventa” e ne vediamo solo il versante negativo. I CVP insegnano invece che se c’è la volontà, ci si può avvalere dell’amicizia come fattore terapeutico di crescita ed elaborazione.
Le attività che i ragazzi portano avanti all’interno dell’ospedale, il libro che avete tra le mani e tutto ciò che i ragazzi faranno in futuro sono la dimostrazione che anche dalle esperienze traumatiche può scaturire un processo trasformativo.
Anzi, i giovani guariti ci insegnano che dopo il trauma della malattia esiste una vera e propria crescita positiva, che è possibile grazie a una capacità di resilienza che permette ai malati di assorbire l’urto della malattia senza frantumarsi, ma addirittura migliorandosi.
Dall’esperienza maturata in questi anni con i CVP, traggo molti insegnamenti: il più importante è senza dubbio quello di affiancare al continuo aggiornamento scientifico l’apprendimento di tecniche comunicative adatte ai pazienti pediatrici e adolescenti.
Solo comunicando con i giovani pazienti è possibile avvicinarsi sempre di più alla costruzione di un ospedale “a misura di bambino e adolescente”, aspetto imprescindibile per l’umanizzazione delle cure.
Senza una costante apertura verso i pazienti e le loro famiglie sarebbe difficile costruire l’alleanza terapeutica che non solo sta alla base dell’accettazione della malattia e della compliance terapeutica, ma va anche oltre la malattia, riducendo il rischio di sentimenti abbandonici e di solitudine che possono presentarsi in età adulta.
La determinazione e l’amore per la vita che oggi leggo negli sguardi e nelle attività portate avanti dai giovani guariti, non sono solo fonte di speranza per i malati e le loro famiglie, ma lo sono anche per noi medici, infermieri, psicologi, insegnanti, educatori e volontari, e ci sostengono nel perseverare verso la ricerca di una maggiore e migliore guarigione dei pazienti.
Nonostante i notevoli progressi della medicina, il concetto del “prendersi cura” non cambia, restando la più antica radice della medicina stessa.

Presentazione dell’Associazione Con Volontà Puoi

In tutte queste storie realmente accadute ognuno di noi ha avuto la propria esperienza con il cancro, chi direttamente e chi no. Siamo riusciti grazie alla grande forza di volontà, al sostegno di molti, alle buone cure e forse a un po’ di fortuna ad avere la meglio su quel “mostro” tanto multiforme quanto temibile.
Nonostante tutto un’esperienza così non si può dimenticare, anzi ti lascia un segno molto profondo che ha avuto, nel nostro caso, il potere di avvicinarci a quella realtà di cui noi stessi eravamo stati protagonisti solo pochi mesi prima. Sicuramente non potevamo curare nessuno ma potevamo fare il nostro meglio per essere di aiuto e di supporto alla popolazione di quel reparto.
Con questo intento alcuni di noi, che avevano appena ultimato le terapie, decisero di ritrovarsi nel reparto dell’oncologia degenza dell’ospedale Regina Margherita in occasione delle vacanze natalizie, per distribuire, ai bambini in quel momento in cura, caramelle, cioccolatini e qualsiasi genere di dolciume. Il tutto ovviamente travestiti da Babbi Natale.
Era il dicembre 2010.
Sono passati quattro anni ma questa iniziativa va avanti tutt’oggi con lo stesso impegno e amore verso gli “abitanti” di quel reparto, anche grazie al sostegno e al calore che riceviamo ogni volta che ci rechiamo lì.
Col tempo ci siamo poi evoluti, dandoci anche un nome: siamo il gruppo CVP Con Volontà Puoi. Il nostro è infatti uno slogan con il quale vogliamo comunicare che anche se il cancro è una malattia complicata è possibile farcela, SI PUÒ GUARIRE! Proprio con questo intento e forti delle nostre esperienze passate, il nostro obiettivo è quello di portare sorrisi e soprattutto speranze a bambini, ragazzi e genitori; questi sono ingredienti che in un luogo simile possono mancare e di cui però c’è sempre un gran bisogno.
Ricevere un “grazie” sincero o assistere a una risata da parte di un bambino che non vede l’ora di mangiarsi tutta la cioccolata: queste sono le nostre vittorie, quello per cui lavoriamo. È per questo che è bello pensare, che ogni volta che torniamo dai nostri giri in reparto, siamo più poveri materialmente e più ricchi nell’animo, perché un’iniziativa come questa non può fare altro che lasciare un profondo segno in ognuno di noi.
Partiti con un singolo reparto, pochi ragazzi e un numero limitato di dolci, ci siamo evoluti molto nei quattro anni di attività. Il nostro numero di membri è cresciuto di anno in anno.
Ormai non siamo più solo dei “Babbi Natale” ma all’occorrenza diventiamo anche “Coniglietti Pasquali” o “Zucche di Halloween”. Siamo presenti in più di un’occasione l’anno e non portiamo soltanto dolciumi ma anche giocattoli o regali, che possono essere adatti per ogni fascia di età che si può trovare in un ospedale pediatrico, dal bambino di un anno all’adolescente di diciassette.
Inoltre, grazie all’aumento del materiale disponibile, col tempo siamo riusciti a coprire tutti i reparti dell’oncoematologia: ambulatorio, degenza, day-hospital e centro trapianti.
Come obiettivo raggiunto citiamo anche la nostra collaborazione con il reparto per opere molto importanti, come il rimodernamento della sala adolescenti della degenza o l’acquisto di stoviglie utilizzabili dai genitori nella cucina a loro dedicata.
Tutte queste nostre attività sono state rese possibili grazie all’impegno di ciascuno di noi e alla disponibilità che abbiamo ricevuto da tutto il personale medico e sanitario, sempre felice di offrirci il proprio aiuto e di concederci l’autorizzazione alle nostre iniziative.
Tutto questo non sarebbe però stato sufficiente senza la bontà d’animo di molte persone, che avendo preso a cuore la nostra causa, ci hanno fornito il loro aiuto grazie a contributi e donazioni non solo pecuniarie, ma anche materiali in termini di giocattoli, indumenti, cibi e bevande.
Sono proprio queste persone che hanno permesso al gruppo CVP di esistere e di continuare a essere attivo.
La medicina è fondamentale nella cura di questi bambini, ma secondo noi è anche importante che i piccoli o grandi pazienti e le loro famiglie non si sentano soli e abbandonati a combattere questo nemico di nome cancro.
Se saremo fortunati ad averne la possibilità, il gruppo CVP sarà sempre presente a dimostrare a parole e soprattutto a fatti, che CON VOLONTÀ PUOI!

Estratti
Manuel G. Cipollone: “Alternavo alle fasi buie, in cui mi venivano somministrate le medicine, fasi di riposo programmato in cui il mio metabolismo si riprendeva. L’idea di tornare alla mia vita quotidiana, come nulla fosse successo, era un miraggio sempre più lontano.
In una di queste pause mi accadde un evento inaspettato. Inu¬tile sottolineare che i momenti vuoti erano diventati parecchi, tempo che a differenza di altri ragazzi miei compagni d’avventura, non avevo alcuna intenzione di investire proficuamente in attività didattiche. Il destino mi era stato ingrato, infierirmi pene ulteriori imponendomi di studiare mi pareva quantomeno ma¬sochista. Risultato: iniziai a trascorrere molte ore a leggere libri, quelli che mi interessavano e a navigare su internet. In una giornata uggiosa, uguale a tante altre, incrociai su un famoso social network una ragazza. Cecilia”.

Maria Rosa Tancredi: “La prima sensazione è stata di imbarazzo più totale. Ero in mezzo a ragazzi che oltre a condividere la stessa età avevano condiviso molto altro. Insomma io non c’entravo nulla. Superato il momento imbarazzo mi sono ritrovata a osservarli. A pensare. O meglio a ripensare a tutto ciò che indirettamente ho vissuto.
Finalmente dopo qualche minuto di angoscia, uno di quei giovani, notandomi, aveva capito che anch’io mi trovavo lì per il loro stesso motivo.”

Giorgia Carando: “Ricordo tutto di quel periodo, dall’ansia delle prime vere interrogazioni, ai nomi di tutti i miei compagni di classe. Ricordo la bellezza di quelle giornate e la felicità che si prova a quell’età. Ricordo però anche l’inizio di quel tunnel buio e intenso che spezzò ogni sogno che custodivo, che logorò la mia mente per un lungo periodo e che cercò di uccidere me e il cuore della mia famiglia giorno dopo giorno.
Tutto ebbe inizio dall’ingrossamento di una ghiandola vicino al collo. Un linfonodo? Una cisti? Del grasso? Tante visite, tanti medici, tanti pareri, ma nessuna certezza. Non mi dava fastidio, non faceva male. “Non può essere nulla di grave”, diceva la mia testolina. Eppure dopo mesi era ancora lì e io iniziavo ad accusare i primi sintomi: febbre, sudorazioni notturne e tosse secca in continuazione. «Forse sarà il tempo» mi raccontavo, «o forse la ghiandola, ma che poteri avrà?»”.

Veronica Di Calogero: “Oggi compio diciassette anni e sono di nuovo a casa per ben cinque giorni. Dopo rientrerò in ospedale per il mio ultimo ricovero, si spera, ma oggi basta pensare. Oggi voglio vivermi la giornata del mio compleanno, in fondo potrebbe essere l’ultimo…
Esco di casa con mio fratello Denis e passo la giornata con i miei amici Martina, Tato, Andrea e Luca. La permanenza a casa è durata troppo poco ed è già ora di entrare nel centro trapianti. Temo che questo viaggio in automobile sia l’ultimo, quindi assaporo ogni attimo. Osservo le luci delle macchine colorate che mi circondano, l’asfalto grigio che si incontra con il cielo ormai quasi notturno e annuso i profumi familiari speranzosa che ci sia un futuro”.

Isabela Catalina Timpu: “La conquista più importante che ho fatto fino a ora è stata quella dello sport. Ho cominciato a praticare il tennis in carrozzina per caso, due anni fa, perché una domenica pomeriggio un uomo, che poi è diventato il mio allenatore, vedendomi, mi chiese se volevo provare a giocare. E ora mi sono innamorata di quest’attività perché ogni volta che sul campo mi sfogo, mi diverto, imparo a giocare meglio, imparo sempre qualcosa di nuovo stando a contatto con i miei compagni e faccio nuove amicizie. Mi sto allenando due volte a settimana. Per ora non mi sono ancora avventurata nei tornei.”

Christian Guidi Colombi: “Come andrà a finire non lo so, ma sicuramente questa esperienza mi ha fatto crescere, mi ha permesso di conoscere persone eccezionali, ho trovato dei veri Amici, cosa assai rara. Forse è vero che anche nelle situazioni negative c’è sempre un qualcosa di positivo. Comunque spero spesso che tutto il malessere che ancora provo possa sparire in un istante e pur sapendo che non accadrà mai, io sogno a occhi aperti perché questa è la mia vita, bella o brutta che sia e resterà sempre mia”.

Paola Santarcangelo: “Spiegare a parole che cosa si prova entrando in quel reparto è difficilissimo. Si scatenano un insieme di emozioni che rischiano di farti vacillare; tu lì vestito da Babbo Natale, con le ceste piene di doni, puoi perdere tutto ma non la lucidità, perché quelle persone, quei bambini, quei ragazzi e i loro genitori hanno bisogno di te per smettere di pensare anche solo per cinque minuti. Hanno bisogno in particolare di guardare i visi di quei ragazzi che ce l’hanno fatta e provare a pensare in positivo”.

Simona Muratore: “Non passa giorno in cui non ringrazi il mio fratello genetico per l’enorme coraggio che ha avuto e per il suo amore incondizionato verso il prossimo. Pur non conoscendomi ha creduto in me donandomi una piccola parte di se stesso e questo decisamente non è da tutti. Con il suo gesto mi ha dimostrato che gli angeli custodi esistono, si nascondono nelle persone comuni in tutti gli angoli della Terra e con le loro azioni rendono il mondo un posto migliore. Questi sono i veri Eroi, quelli che sanno amare e donare senza giudicare, perché hanno la consapevolezza che in fondo siamo tutti fratelli”.

Monica Cisi: “I primi giorni trascorsero tranquillamente, perché la chemio non aveva ancora manifestato i suoi effetti. Desideravo solo toast con sottilette e pasta con panna e tonno. In quei momenti ero convinta che non sarei stata troppo male, in fondo non avevo afte in bocca, non accusavo niente di strano. In quel periodo avevo conosciuto su facebook un ragazzo del mio paese, Francesco. Non sapevo bene quanto e cosa sapesse di me in quel momento. Mi teneva compagnia e alle tre di notte, quando le infermiere passavano a controllare che tutto andasse bene, io ero al computer a scrivermi con lui. Francesco è diventato il mio ragazzo e ancora oggi, dopo quattro anni, è al mio fianco. Come Cristina, la mia migliore amica, che non mi ha mai lasciata sola”.

Federico Daffara: “Per tutti noi, l’essere in quel reparto e rappresentare una fonte di speranza e di sorriso, anche istantaneo, per genitori e bambini, è quanto di più bello possiamo avere come ricompensa. L’essere guariti è meraviglioso, ma lo è altrettanto fare il possibile, nel nostro piccolo, per supportare altri che stanno vivendo condizioni simili alle nostre di qualche anno prima.
In fin dei conti combattere il cancro è molto simile a una scalata, a una montagna molto ripida. Per arrivare in vetta occorrono forza di volontà, fortuna, e un buon equipaggiamento.
Ma, una volta in cima, la vista da lassù è splendida”.

Paola Martino: “La paura era veramente tanta. Paura di non riuscire a vedere la nascita del mio nipotino. Paura di non vedere più le persone a cui tengo in modo particolare. Magari andarmene senza aver ringraziato tutta la mia famiglia, mia mamma Carla, mio papà Piero, i miei fratelli e mio cognato Davide, per quello che avevano fatto per me fino a quel giorno, perché mi erano sempre stati vicini anche nei momenti in cui mi sarei presa a schiaffi da sola, per quanto ero insopportabile. Senza poter dire loro quanto li amavo e li amo, perché è grazie anche alla loro grande forza se sono ancora qui e se posso scrivere e dire, anzi urlare che per la terza volta HO VINTO IO!”.

Giulio Pini: “A quell’età un ragazzo non sa come approcciarsi al concetto che la sua vita possa essere messa in pericolo da un giorno all’altro. Fui solo in grado di chiedere: «Morirò?» ricevendo una percentuale come risposta.
Non piansi, come avrei potuto? Si piange per qualcosa che si comprende, che fa stare male. Io non capivo o non volevo capire. Poi mi affidai alle parole della dottoressa pensando fossero tutt’altro che negative, che come sarebbe arrivata se ne sarebbe anche andata, questa strana leucemia.
Papà e mamma fuori, invece…”.

Federica Sussio: “Amo la loro ingenuità nelle piccole cose. Un bambino che avrà avuto a dir tanto sei anni, prima che uscissi dalla sua cameretta mi chiamò in disparte per dirmi che lui aveva capito tutto e che ci aveva scoperti: noi per lui eravamo stati mandati da Babbo Natale in persona per portargli dei doni. Mi sono congedata dal piccolo facendogli l’occhiolino e chiedendogli di promettere che sarebbe dovuto rimanere il nostro segreto”.

Valentina Porcaro: “Da quel momento la mia vita si fermò, come quando si scaricano le pile dell’orologio e le lancette si fermano. Gli anni 2009, 2010, 2011 li chiamo gli anni della Vita. Sono stati gli anni in cui ho vissuto intensamente i momenti peggiori e i migliori che un essere umano possa vivere. Credo che un cancro ti aiuti a superare molti limiti e molte paure. Ti fa crescere velocemente e cambia il tuo pensiero riguardo all’unica vita che abbiamo. Pertanto è molto più facile ricordare la parte positiva che un cancro ti offre, perché quella negativa è più facile dimenticarla o rammentarla vagamente.
Da quel giorno Valentina cambiò. L’inconsapevolezza, l’ingenuità, la giovinezza mi diedero la forza necessaria per cominciare a viaggiare, per sconfiggere le cellule maligne che si impadronivano del mio corpo, ma non del mio spirito.”

Davide Palladino Paladino: “Ho un’immagine fissa nella mente: Federico che con le stampelle camminava verso la sala giochi e io che lo seguivo trascinando il mio carrellino della flebo e il suo. È proprio vero che l’unione fa la forza! Noi lo abbiamo imparato bene. In quei due anni abbiamo anche conosciuto Daniele e Patrick: i dottori non ci hanno impiegato molto per darci il soprannome I Quattro dell’Ave Maria. Eravamo forti, tenevamo in allegria tutto il reparto. Riuscivamo a far sorridere la gente, ma soprattutto noi stessi. Fidatevi di me, sorridere in reparti dove tutti lottano contro un nemico, non è cosa da poco”.

Informazioni aggiuntive

Peso 250 g
Dimensioni 15 × 21 cm

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